I vantaggi delle Comunità Energetiche Rinnovabili

Zona cittadina interconnessa elettricamente dalle Comunità Energetiche Rinnovabili

Da troppo tempo stiamo aspettando i decreti attuativi del Governo, grazie ai quali le CER diverrebbero finalmente realtà all’insegna dell’economia circolare locale.

Le CER rappresentano un modello di economia circolare che genera energia in via indipendente e decentralizzata ad opera di gruppi di cittadini, piccole e medie imprese, enti e organizzazioni, mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili, delle quali la più caldeggiata è, come è facile intuire, il fotovoltaico. Tali soggetti o enti prendono sono denominati di prosumer, vale a dire produttori e consumatori di energia al tempo stesso.

Nel medio-lungo termine, l’adesione a queste comunità permetterà di risparmiare sul costo dell’energia elettrica, a fronte del notevole incremento della domanda previsto nei prossimi anni, quando l’elettricità costituirà il 50% dei consumi energetici globali contro l’attuale 20%. Inoltre, le CER presentano anche un risvolto sociale, non solo per la condivisione delle risorse energetiche, ma anche per la creazione di posti di lavoro a livello locale in termini di realizzazione e manutenzione delle relative opere.

Quando un gruppo di persone o enti decide di produrre energia elettrica, consumarla per le proprie necessità o rivenderla, si parla, invece, di Autoconsumo collettivo (AUC). Perlopiù si tratta di condomini o aziende, dal momento che si devono trovare nello stesso edificio, a differenza delle comunità energetiche.

La differenza principale tra l’autoconsumo collettivo e le CER sta nel grado di condivisione e cooperazione. Mentre entrambi cercano di ottimizzare l’uso delle risorse energetiche locali, le comunità energetiche tendono ad essere più ampie e strutturate, rappresentando un’entità giuridica distinta che richiede una governance più complessa ed investimenti in infrastrutture condivise.

Pertanto, il passaggio da un AUC ad una CER necessita principalmente di:

  • Formazione di una struttura organizzativa: per passare da un’organizzazione informale a una comunità energetica più strutturata, è essenziale stabilire una governance. Questo significa la creazione di un’associazione, cooperativa o un’altra forma di entità legale che consenta la gestione e la condivisione delle risorse energetiche in modo più efficace.
  • Investimenti e infrastrutture condivise: una comunità energetica richiede investimenti più consistenti in infrastrutture condivise, come pannelli solari o generatori eolici oppure sistemi di stoccaggio dell’energia o reti intelligenti. I membri possono contribuire finanziariamente o attraverso il lavoro volontario per sviluppare e mantenere tali infrastrutture.
  • Sviluppo di partenariati: la collaborazione con aziende, istituzioni accademiche o altre comunità energetiche può arricchire le risorse disponibili e promuovere la condivisione di conoscenze. I partenariati possono favorire la crescita e la sostenibilità della comunità energetica.
  • Educazione e coinvolgimento della comunità: un elemento chiave è l’educazione della comunità sulle pratiche sostenibili e il coinvolgimento attivo dei membri. La consapevolezza e il supporto della comunità sono fondamentali per il successo a lungo termine di una comunità energetica.

Le norme attuative, attese oramai da un anno e mezzo, pendono dalle interlocuzioni tra il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e la Commissione Europea che, a detta del Ministro Pichetto, stanno accendendo quel semaforo verde tanto anelato che dovrebbe finalmente dare il via libera alle CER e consegnare uno dei tasselli fondamentali al processo di decarbonizzazione del Paese.

Facendo il punto sulla produzione di energia rinnovabile, l’Italia è in seconda posizione dopo la Spagna e ha un tasso di utilizzo di energia rinnovabile che si attesta al 20%, ben lontano degli obiettivi di impiego dichiarati dall’Europa, fissati al 32% entro il 2030.

Le CER hanno le carte in regola per fornire un contributo sostanziale e tangibile in questa direzione ed alla transizione ecologica in generale, ma per arrivare alle 15 mila comunità auspicate dal Ministro in tutta Italia se ne deve fare di strada, considerando che ad oggi siamo solo a qualche decina e che la Germania, membro europeo virtuoso assunto come metro di paragone, ne ha qualche migliaio.

Tuttavia, non bastano solo buona volontà ed investimenti nelle CER, ma serve un’azione corale nell’intero settore elettrico che coinvolga sia l’espansione della rete che l’installazione delle batterie.

Ad ogni modo, per il 2050 si stima che 264 milioni di cittadini dell’Unione Europea si uniranno al mercato dell’energia come prosumer, generando fino al 45% dell’elettricità rinnovabile complessiva.

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