Acidificazione marina e impatto sugli ecosistemi

Se credevi che solo i limoni fossero acidi, devi ancora sentire la storia dell’acidificazione del mare! I molluschi stanno chiedendo corsi di sopravvivenza, perché con tutta questa acidità i loro gusci stanno diventando un po’ troppo sottili per i loro gusti!

L’acidificazione di oceani e mari è una delle principali preoccupazioni ambientali attuali, connessa con le emissioni di anidride carbonica (CO₂) in atmosfera. 

Quando la CO₂ viene assorbita dalle acque, avviene una reazione chimica che porta alla formazione di acido carbonico, abbassando così il pH dell’acqua e rendendola più acida.

Questo cambiamento di pH influisce sulla vita di molte specie marine, specialmente quelle con gusci calcarei come coralli e molluschi, che trovano sempre più difficile formare e mantenere le loro strutture protettive. 

Il mare ha assorbito circa il 20-30% delle emissioni totali di CO₂ di origine antropica dagli anni ’80, alterando la composizione chimica dell’acqua. 

Secondo l’IPCC, rispetto ai livelli preindustriali, il pH degli oceani è sceso di circa 0,1 unità, corrispondente a un aumento dell’acidità di circa il 26%. Se non riduciamo le emissioni di CO₂, il pH potrebbe scendere ulteriormente di 0,3-0,4 unità entro la fine del secolo, con un incremento dell’acidità fino al 150% rispetto ai livelli preindustriali.

L’acidificazione degli oceani ha effetti devastanti su molte forme di vita marine, specialmente sugli organismi con gusci calcarei come coralli, molluschi e alcuni tipi di plankton

Questi organismi trovano sempre più difficile formare e mantenere le loro strutture protettive. In estrema sintesi, a causa di un PH troppo acido, gli animali non riusciranno a creare nuovi gusci calcarei, e quelli presenti tenderanno a sciogliersi.

Questa condizione altera la struttura delle catene alimentari marine, poiché specie chiave come i coralli, che fungono da habitat per molti pesci e altre creature marine, sono gravemente colpite. 

Gli impatti sono significativi sugli echinodermi come le stelle marine e i ricci di mare, ma anche sui bivalvi utilizzati nell’alimentazione umana come ostriche, vongole e cozze.

La perdita delle piattaforme carbonatiche causa infine un abbassamento del fondale marino intorno alle barriere coralline, riducendo la loro funzione protettiva e aumentando il rischio di inondazioni per le coste.

Tutto ciò minaccia le aree di pesca e le comunità umane che dipendono dal mare per la loro sussistenza, mettendo a rischio la sicurezza alimentare e l’economia locale, turismo compreso.

Le principali strategie di mitigazione riguardano la riduzione delle emissioni di gas serra, diminuendo la quantità di CO₂ che finisce negli oceani. La gestione sostenibile degli ecosistemi marini, proteggendo le barriere coralline e le aree marine protette, aiuta a mitigare gli effetti dell’acidificazione.

L’americana The Ocean Foundation, nel 2016 ha dato vita ad un’iniziativa specifica sul tema e supporta scienziati, responsabili politici e comunità per monitorare e comprendere l’acidificazione degli oceani a livello locale e globale. Sono stati finanziati progetti di ripristino costiero e formate partnership con governi e agenzie intergovernative.

A dispetto delle previsioni più  pessimistiche, alcuni organismi marini sembrano adattarsi alle nuove condizioni attraverso meccanismi evolutivi inaspettati. Ad esempio, i coralli contenenti aragonite sembrano adattarsi meglio a condizioni più acide rispetto a quelli con gusci di calcite.

Uno studio del Centro Oceanico tedesco GEOMAR ha dimostrato che l’alga Emiliania huxleyi può adattarsi a livelli più alti di acido carbonico. Dopo 500 generazioni in laboratorio, queste alghe mostravano una crescita e una calcificazione migliori rispetto ai ceppi originali.

Anche da risultati come questo emerge la necessità di considerare i processi evolutivi negli studi futuri per valutare le conseguenze biologiche del cambiamento globale. 

Play for the planet!