Rinunciare a viaggiare, esplorare e nutrire l’anima di posti e culture nuove per ridurre le emissioni di CO2? O matti, non se ne parla! E quindi che si fa?
Volare è business
Prima di tutto, il trasporto aereo e volare sono un business che alimentano altri business poiché, pandemie a parte, il mondo moderno e globalizzato non può fare a meno di sviluppare relazioni commerciali aldilà dei confini nazionali.
E i voli civili? Raggiunto il record mondiale di 220 mila voli in 1 solo giorno.
Il risultato di tutto questo sarà un utile netto 2023 di circa 9,8 miliardi di dollari per le compagnie aeree.
Detto ciò, il traffico aereo è responsabile del 5% del riscaldamento globale e coinvolge circa 4 miliardi e mezzo di passeggeri. Si ipotizza che essi diventeranno 10 miliardi nel 2050, lo stesso anno in cui si punta al c.d. impatto zero.
Volare è insostenibile
Partendo da questo presupposto, si comprende la forte spinta verso la transizione ecologica del settore, basata sull’utilizzo di biocarburanti in luogo di quelli derivanti dai combustibili fossili.
I carburanti sostenibili detti Saf (Sustainable aviation fuel) includeranno i carburanti sintetici, come l’idrogeno, e quelli provenienti da residui agricoli o forestali, alghe, rifiuti organici, olio da cucina usato e da alcuni grassi animali. Sono considerati “verdi” anche i carburanti riciclati prodotti dai gas di scarico e dai rifiuti di plastica.
Stefano Ballista, a.d. di EniSustainable Mobility, ha detto che “da novembre 2022, le bioraffinerie hanno smesso di trattare l’olio di palma e utilizzano scarti e residui di origine vegetale o animale, quali gli olii usati di frittura e i grassi animali. In quantità in prospettiva crescenti, utilizzeremo nei nostri impianti anche gli olii vegetali provenienti dalle coltivazioni in terreni degradati, non idonei alla produzione alimentare e con scarso bisogno di acqua, che Eni sta sviluppando in Africa”.
Volare è innovazione
L’e-fuel generato dalla combinazione tra l’idrogeno prodotto con energie rinnovabili e l’anidride carbonica catturata dall’atmosfera rappresenta per molti il carburante alternativo per eccellenza, a condizione che si riesca ad abbattere i costi di produzione attualmente troppo elevati, ossia otto volte superiori a quelli del cherosene tradizionale.
I Saf, ad oggi prodotti in misura piuttosto contenuta, dovranno costituire il 2% del carburante utilizzato a partire dal 2025 e il 70% entro il 2050, in forza di quanto stabilito dal Parlamento Europeo alla luce del programma ReFuelEU.
E proprio a partire dal 2025, ciascun volo verrà etichettato in termini ambientali, indicando sia l’impronta ecologica di ogni passeggero che l’emissione di CO2 per chilometro.
Altro fattore di sviluppo sostenibile è il trasferimento di parte del traffico aereo su rotaia ad alta velocità, favorendo l’intermodalità e la connessione diretta fra tratte ferroviarie ed aeroporti nell’ottica di ridurre il 30% delle emissioni entro il 2030 e di traguardare la neutralità carbonica nel 2050.
A che prezzo? Esorbitante. Rafael Schvartzman, vicepresidente della Iata (International Air Transport Association), stima un costo complessivo di circa 5.000 miliardi di euro per concretizzare il net zero entro il 2050, a maggior ragione se si considera che il settore dell’aviazione non è stato inserito nel Pnrr.
Ma quale sarebbe, invece, il prezzo ambientale? Probabilmente incalcolabile. Già oggi, il trasporto aereo incide per il 2,6% sulle emissioni globali di CO2, un valore che potrebbe aumentare sensibilmente in caso di mancata attuazione delle citate strategie di innovazione.
Come si dice, niente è gratis…ma noi saremo disposti a pagare di più ogni biglietto aereo per i prossimi 30 anni?
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